Testimonianze - Dott. Francesco Rosati

Tra le carte che riguardano la Serva di Dio c'è un importante documento autografo del Dottor Francesco Rosati, medico della famiglia Baseggio, scritto su richiesta di don Andrea Prosdocimi, Confessore e Direttore spirituale di suor Felicita e parroco di Grignano. Lo scritto fornisce un succinto commento sull'immagine esteriore di Maria Felicita, del suo stato abituale di salute e della sua personalità ed è stato redatto nel periodo in cui la Baseggio abitava nella casa dei Fratelli Rosa situata di fronte al vecchio Vescovado, dopo la soppressione del Monastero della SS. Trinità (1810). Nel testo si trovano termini non più usati nella lingua corrente, ma propri del periodo storico in cui il medico scriveva.

Attestazione che delle virtù di Maria Felicita faceva il Medico Signor Dottor Francesco Rosati il quale assai di frequente la visitava, e da vicino la conosceva dopo che era uscita di Convento.

Ricercato da Vostra Signoria Reverenda circa pregiata sua lettera, apporre in iscritto quel giudizio che, come medico fisico, potessi fare su quanto di straordinario da moltissimi anni è accaduto a molti d'intendere, e di osservare, e talora anco a me, nella persona della Madre Felicita Baseggio.

Prendendo anco in esame e considerazione il suo fisico; dal qual giudizio abbiasi a rilevare se le dette cose creder si possano l'opra, o l'effetto, di cause puramente naturali ovvero di un'ordine che superi il potere della natura.

Per formare una base alle mie deduzioni su quanto di portentoso mi vien presentato, questa sarà una descrizione del suo fisico, tanto nello stato di salute che morboso, del temperamento, abito di corpo, gener di vita, qualità morali, inclinazioni ed occupazioni e di tutto ciò tanto quanto può bastare all'oggetto che mi sono proposto.

Poteva essere dell'ettà d'anni sei, quando incominciai ad esser chiamato in sua casa all'occasione di qualche infermità del di essa padre, madre, sorella, ed altri. Essa pure talvolta infermò, non di gravi malattie, ma soltanto, se ben ricordo, per febbri periodiche, costipazioni; e delle cure usate non mi ricordo che qualche missione di sangue.

L'abito del suo corpo era alquanto adusto, di bianco colorito e scarsamente rubicondo.

L'occhio non mostrò mai quella vivacità che indica uno spirito molto vivace, o agitato, che anzi la sua guardatura fu sempre placida, modesta e dimessa e indice nel tempo stesso, vale a dire denotante una perfetta calma d'ispirito.

Il suo discorso, con cui l'anima ancor meglio dell'occhio dipinge se stessa, non è pronunciato da voce troppo alta ed impetuosa, che denota troppa comozione di spirito, e troppo moto di qualche interna passione, né tropo dimessa che dia sospetto di un'affettata modestia, voglio dire ch'egli è tanto animato quanto basta per poterlo stabilire nel mezzo di una fredda divota melensaggine, e di una eccedente vivacità di un animo perturbato, o borioso.

Dovendo inoltre il discorso aver le sue giuste misure io non potrei certamente accusarla nel familiare discorso, né di troppa loquacità, né taciturna di troppo. Essa certamente non recca mai incomodo né coll'uno né coll'altro questi due estremmi. Esso è in oltre condito della più amabile gentilezza e civiltà che mai possa desiderarsi.

Con volto sempre lieto e festevole, con cui dimostrava la compiacenza e riconoscenza della visita che se gli fa, dopo aver prevenuto colle ricerche dello stato di salute, e portasi colla compagnia a sedere, sarà ella la prima a introdur discorso se la sua cordialità (che in cristiano linguaggio chiamasi carità) avrà premura di sapere qualche cosa che interessi o alcuno della compagnia, o sull'esito di qualche modesto affare, o infermità, o disgrazia che ecciti la comiserazione del paese; e non esce poi mai dalla sua bocca una ricerca che sia di mera e inutile curiosità. Quando poi ella non abbia argomenti di tal natura la sua moderazione, con un po' di silenzio, dà luogo agli altri di promovere a lor talento qualche discorso.

Nella sua relazione il medico Rosati continua evidenziando la disponibilità e carità di suor Felicita verso le persone che a Lei si rivolgono per chiedere preghiere o aiuto.

Allegra senza esser mai solazzevole nemmen da fanciulla.
Di tratto assai civile e cortese, e senza la minima affettazione.
Umile in sommo grado e però d'una ubbidienza non solo limitata a suoi direttori e superiori, ma alle persone ancora, dalle quali non può avere minima dipendenza quanto il comporta una prudente umiltà, con cui possa piacere al suo Dio.
Un amore al suo prossimo per cui essa è tutta a tutti, ed a tutte le ore, lasciando anco alle occasioni senza esitanza le divozioni di metodo.
Lungi dall'affettar santità, è in uno studio continuo per nasconderla, combattuta poi dalla difficoltà di celarla quando da alcuno per via d'interrogazioni scoprir si voglia un qualche favore da Dio ricevuto, nel qual caso ha luogo la verità, con gran pena dell'umiltà.
Se talora avvien che alcuno si presti a qualche suo minimo affare, di cui lascia ogni cura l'altra Religiosa sua compagna, non lascia però ad essa, ma a se stessa addossa il dovere de' ringraziamenti, e questi son tali che chi li riceve, oltre al rimaner soddisfatto, sente un desiderio che maggiori e più frequenti siano gl'incontri di potersi prestare.
Credendosi obbligata al ritiro, benché fuor di Convento, non passa dalla casa che alla vicina Chiesa, ove fa giornalmente la sua comunione; ma se la carità lo esige, per esser di compagnia e consolare dei genitori afflitti per il timore di perdere una fanciulla oppressa da grave infermità, per molti giorni consecutivi frequenta quella casa, mattina e sera con dimora di più ore, consolando quegli afflitti, prestando assistenze, e predicendogli la sicura guarigione di quella inferma.
Chiunque va a trovarla o vi va per raccomandarsi alle sue orazioni, o per qualche bisogno, ed a pochi in determinate ore, per oggetto di coltivarsi una protetrice ne' loro bisogni spirituali e temporali, per animar la lor fede, vedendo ben di frequente cogli occhi loro que' prodigi soprannaturali che dettagliatamente verranno esposti da chi ha più diritto di me, e più conoscenza del numero; finalmente per oggetto di recitare con essa alcune orazioni, per l'interesse e fortuna di farle in unione di un'anima a Dio sì cara e sì favorita.
Ma prima si avverta che questa conversazione non è che della sera, che incomincia una mezz'ora circa dopo che ha preso un po' di cibo per cena, che gli vien comandato dal suo direttore. Si avverta pure che questa conversazione, se tale si può chiamare come vedrassi meglio in appresso, non è di ogni sera; che a questa interviene o il suo direttore spirituale, o qualche Pio Religioso; e da qualche tempo in qua la persona secolare, che per combinazioni che chiamar si sogliono accidentali, talora ebbe, e talora si procurò frequenti motivi di trattenersi con Lei, o di prestarsi in qualche cosa dopo che non gli fu più permesso di soggiornare nel suo monistero. Questa persona poi mia amicissima, introdusse anco me antico suo medico, ed anco il fratel mio secolare. E' dunque questa una conversazione assai limitata nel numero; e molto più non intervenindovi io che circa una volta al mese, e molte sere poi non vi è alcuno. Il colore che danno queste persone secolari alle loro visite si è quello del desiderio di starsene un momento con essa, per una breve necessaria distrazione al suo spirito, per poi recitar con essa le sue orazioni vocali della sera. Con questo titolo che non arriva ad estendere la sua umiltà, abbonda essa in ringraziamenti, e mostra la compiacenza. Che se poi fattasi l'ora tarda dica alcuno che il tal altro forse non verrà più in quella sera, essa talora ha risposto: ed io dico che verrà sicuramente, ed è poi venuto.

Conosciamo la Serva di Dio Suor Maria Felicita Baseggio
La relazione del medico Rosati continua prendendo in esame anche le modalità di incontri con la Serva di Dio, da parte di persone, religiose o laiche, e descrive alcuni fatti avvenuti sempre in quella casa, di fronte al vecchio Vescovado di via Casalini, ove la Baseggio abitava.

In quanto poi alli discorsi che vengon promossi dalla compagnia quali devono mai essere a fronte che il portarsi a quel trattenimento vi si abbia dato il colore di necessaria distrazione, se gli fa talora il racconto di quanto soffre la misera umanità in una guerra in cui tutta l'Europa è armata e versa il sangue a torrenti.

Ne rimane ella vivamente commossa, ed ecco che poi nell'orazione di quella sera quando gli appare il suo Dio, e si dimentica degli astanti, genuflessa colla più ardente orazione chiede a Dio il termine a tanta calamità, ripettendo più e più volte la sua istanza, e con tanta affannosità e fermezza nel voler essere esaudita che gli astanti si cruciano nell'osservare la violenza che deve soffrire il suo fisico, perché di fatto terminata l'orazione, e sembrando che ritorni a suoi sensi, si trova ella benché d'inverno colla camicia tutta grondante di sudore, il volto infiamato, ed abbattuta di forze, benché per brevi momenti.

Se in altra sera se gli parla della corruzion del costume, e che i peccatori quanto più Iddio ci flagella tanto più sotto la sferza imperversano invece di ravvedersi, il quella sera comparendogli il suo Dio, dà prima segno della di Lui visione, poi si getta in ginochione, con eguale invasione di spirito prega, insta, scongiura e si crucia perché voglia perdonare a peccatori. Trovandosi poi grondante di sudore, infiammata nel volto, e abbattuta, come di sopra si è detto. Infine poi, come confusa, chiede scusa alla compagnia di aver usata una mala creanza con quella distrazione che non ha potuto impedire.

Fa ella tali preghiere, con voce dimessa, da non potersi intendere per intiero nemeno da quello che si ritrova inginocchiato più da vicino degli altri.

Questa orazione che è dettata dal suo spirito, e ch'è diversa a norma de' casi, non è l'ordinaria della sera, e non la fa se non quando Gesù Cristo suo sposo gli appare in figura di sacerdote; mentre quando gli appare in forma di Bambino, ch'essa chiama il Bambolo, allora o perché la memoria delle persone che gli sono presenti, o si sforza di non dare a conoscere che il Bambolo vi sia, e talora s'ode a licenziarlo, e a dirgli che vadi via. Allora sembra ella combattuta dall'umiltà che vorrebbe che gli astanti non si accorgessero del favore che Dio Bambino gli fa di farsi vedere e scherzar con lei, e dalla compiacenza di vagheggiarlo, il che rilevasi dalle manifeste distrazioni da quelli che gli son presenti, che sono più e meno lievi; dalle tenere occhiate al Bambino, e da qualche parola ad esso con voce assai dimessa con cui sembra che ora gli parli, ed or gli risponda. In questo stato d'esser ella nel tempo stesso, e cogli uomini in conversazione e col Bambino Gesù, presenta uno spettacolo il più grato e giocondo, non disgiunto da una specie di raccapriccio e sacro timore.

Mentre però ella cerca di celare agli astanti il massimo onor di tal visita, sembra che il Bambino compiacendosi di questa sua umiltà, voglia pur palesarsi; quindi una specie di contrasto che l'affanna, e quindi quel licenziarlo.

Egli però si dà anco a conoscere talora la sua presenza a quelli che son presenti; essendo più volte accaduto al Signor Giovanni Prosdocimi di vedere un fuso ch'era sul tavolino orizzontalmente colocato, ed in distanza dalla detta, inalzarsi da quel capo ove è più grosso e pesante, e deprimesi dal capo ove è più sottile.

ROSATI Dottor FRANCESCO

Nato a Rovigo l'anno 1752 da Domenico Rosati e da Navarro Chiara, coniugato con Majer Teresa, abita in Rovigo al n. 393 della Contrada San Francesco dove muore il 21 Luglio 1816.
Socio Accademico dal 10 novembre 1775, in Accademia dei Concordi a Rovigo sono conservati i manoscritti delle lezioni di Medicina da lui tenute nel corso degli anni.